sabato 17 novembre 2007

Questo convegno non s'ha da fare

Vattelapesca. L'Italia - giustamente - si vanta di guidare la battaglia contro la pena di morte e, alle Nazioni Unite, proprio ieri ha registrato un primo grande successo per quanto riguarda la moratoria internazionale sulle esecuzioni. Ma a Tokyo le sale dell'istituto italiano di cultura, aperte in genere ad ogni genere di manifestazione, dalle più valide ad autorevoli alle "personali" dei più oscuri (ma evidentemente bene ammanicati) "artisti", vengono rifiutate ad una associazione che intendeva organizzarvi un convegno sul tema. Incredibile ma vero. Il rifiuto, tanto per essere chiari, non viene dal direttore, Umberto Donati, che anzi aveva manifestato ampia disponibilità, ma direttamente dall'Ambasciata, che in una lettera a firma di Aldo Amati, ministro consigliere, indirizzata agli organizzatori del convegno (per ora) mancato adduce tutta una serie di nebulose giustificazioni e fa capire che senza un ordine del ministro D'Alema in persona (che per ora non ha ritenuto di voler intervenire, nonostante le pressioni esercitate da Nessuno Tocchi Caino e del ministro Emma Bonino, da smepre in prima linea in questa battaglia) l'Istituto, "per questo tipo di sia pur lodevoli inziative", resta chiuso.
Roba da matti. Pura schizofrenia istituzionale. Anzichè sfruttare la - più che meritata, specie in certi settori - popolarità dell'Italia e l'autorevolezza di un Istituto che dopo le polemiche sul color rosso che disturbava i sogni del governatore Ishihara e del padre padrone dell'impero Yomiuri, Watanabe, è diventato, innegabilmente, uno dei centri culturali più attivi della metropoli, ci tiriamo indietro per paura che sponsor e politici locali storcano il naso e boicottino l'inaugurazione della prossima mostra? E allora?
Possibile che l'Italia debba vendere solo sogni? In base a quale principio le sale dell'Istituto vengono offerte a Valentino piuttosto che alla Ducati, e rifiutate al povero Angelo De Rosa, direttore del centro culturale "LO STUDIOLO", che da anni si dà da fare per ricordare ai giapponesi che oltre ai sogni esistono anche le idee? E che oltre al paese di Girolamo e Totti siamo anche quello di Cesare Beccaria? Tanto più che il dibattito sulla pena di morte, sinora praticamente inesistente, sta timidamente affiorando sulla stampa locale, grazie alle sparate dell'attuale ministro della giustizia Hatoyama (della serie, la pena di morte fa parte della nostra cultura e guai a chi ce la tocca) e alla "confessione" del primo giudice "pentito", Kumamoto, giudice a latere del tribunale che oltre 40 anni fa condannò a morte il giovane pugile Hakamada, tutt'ora nel braccio della morte in attesa di un processo di revisione che ora pare finalmente in dirittura d'arrivo: "ero convinto dell'innocenza dell'imputato, ma sono stato costretto a firmare la condanna a morte dai miei superiori" ha dichiarato il giudice, in una conferenza stampa che abbiamo organizzato al Foreign Correspondent Club.
Tornando al convegno mancato, da giornalista, dopo aver inutilmente aspettato che qualcuno, in Ambasciata, si degnasse di ricevermi (sono rimasto un quarto d'ora fuori dai cancelli, ma l'unico che si è fatto vivo, oltre al consigliere Vattani che è sfrecciato via in motorino, è stato il carabiniere in servizio, che mi ha gentilmente confermato l'impossibilità di conferire con un funzionario) ho scritto un articolo e inviato un servizio per il telegionale.
Da cittadino mi chiedo se, assieme ad altri, non sia il caso di organizzarci per una protesta, civile ma efficace. Qualche idea? Una fiaccolata davanti all'Istituto? Siamo vincoli, o...sparpagliati?