mercoledì 15 luglio 2009

Storie di ordinaria follia (1) Il mio primo melone muschiato




Questo è il mio casco. Ci sono molto affezionato. Primo perchè me l'ha regalato, con un gesto di estemporanea generosità tipicamente napoletana, un caro amico, Salvatore Cuomo.
Poi perchè mi ricorda un personaggio e un'epoca formidabile, infine perchè e comodissimo e di ottima qualità.
Potete immaginare la tristezza, ma anche lo stupore, quando un paio di sere fa, mi sono reso conto che me l'avevano rubato.
E' successo nell'androne del mio palazzo, a Shirokane, dove spesso non chiudo nemmeno la porta di casa e dove in genere lascio di tutto, compresa la borsa con il mio prezioso Mac, quando la sera, tornando dal lavoro, mi fermo un attimo a fare la spesa.
Anche l'altra sera ho fatto la stessa cosa, lasciando solo il casco. Ma dopo una mezz'oretta, non c'era più. Sparito. Qualcuno mi ha consigliato di andare dalla polizia, ma avrei perso solo del tempo: era chiaro che si trattava di un "itazura", un gesto cretino, da parte di qualche stronzo di passaggio. Ci ho dormito sopra, pensando che ahimè anche il Giappone stava perdendo il suo fascino di paese dove nessuno ruba nulla (tranne l'anima, ha scritto qualcuno, ma non è il caso di appesantire questo post). La mattina sono andato dal mio kanri-san, il portiere che dopo tre anni e passa comincia finalmente a salutarmi, dopo avermi guardato con sospetto (e giustificato fastidio, visto che spesso sbaglio la complicatissima divisione dell'immondizia). Gli ho chiesto se era possibile controllare il video della sera prima. All'entrata infatti c'è una telecamera che dovrebbe registare chi entra e chi esce. "Imposssibile, questione di privacy". "Ma allora a che cazzo serve, scusi", gli ho detto, pronto a strozzarlo. Lui deve aver capito che facevo sul serio e, divenuto improvvisamente gentilissimo, mi ha preso una sedia, acceso il monitor e spiegato come fare ad andare avanti e indietro. Alle 20:32 ecco il misfatto. Si vedono due ragazzi che entrano. Dopo qualche minuto, escono. Uno ddi loro ha il mio casco in testa. Chiedo al portiere se li conosce. "Certo - mi fa - uno vive qui, al terzo piano. Andiamo a vedere se c'è qualcuno. SOno persone perbene, la madre lavora di notte, dovrebbe esserci, a quest'ora". Saliamo al terzo piano. La madre in effetti sta dormendo. All'inizio sembra infastidita, poi stupita, poi preoccupata. In casa c'è anche il figlio: "chiedo subito". Dopo un attimo riappare sulla soglia, si sprofonda in un inchino, e ammette. "temo abbiate ragione, mio figlio ha confernato che ieri, l'amicco che era venuto a trovarlo ha trovato un casco e se l'è portato via. Non ho parole. Faccio immediatamente una telefonata alla madre di quel ragazzo e ve lo faccio riportare subito". Detto fatto.
Nel giro di un'oretta, bussano alla mia porta. Ci sono i due ragazzi, contriti e impauriti, e le due madri, affrante e preoccupatissime. In Giappone rubare è una cosa gravissima, e anche se in un caso del genere la cosa si risolverebbe con una ramanzina (in Giappone l'azione penale è discrezionale, in casi del genere non viene esercitata) la polizia VIOLANDO LA LEGGE, mantiene un suo "casellario" dove vengono registrati tutti i casi, dalle marachelle dei ragazzi al divieto di sosta. E al momento giusto, saltano fuori. I quattro sono insomma, oltre che sinceramente pentiti, molto preoccupati che lo "strano straniero" sia (giustamente) incazzato e che non si acccontenti delle scuse, e che denunci il fatto alla polizia.
Ovviamente non ho intenzione di farlo e li rassicuro subito. Soprattutto quando vedo il mio casco bello ripulito, le facce pentite dei ragazzi e lo sguardo addolorato e preoccupato della madre. E' sola, il marito l'ha lasciata con il figlio, non le ha mai dato uno yen. Lei è riuscito a mantenerlo e a portarlo all'università, facendo tre lavori, uno di giorno, uno da casa nel tempo libero, e uno la notte. Chiacchieriamo per oltre un'ora del più e del meno, e mi accordo che uno dei ragazzi è sparito.
Riappare con un'enorme scatolone. Visto che ho rifiutato una busta con - presumibilmente - del denaro (in Giappone si usa così), la madre l'aveva spedito a comprare della frutta. Tornato a casa, apro lo scatolone e, circondato da papaya, mango, fragoloni e un gigantesco grappolo d'uva, c'è il mitico melone muschiato. Roba da 20 mila yen, 150 euro, minimo. In vent'anni che bazzico questo paese, ne ho scritto spesso, ma non l'avevo mai assaggiato. Con il mio casco piazzato al centro del tavolo, me lo slurpo in un attimo. E mentre ne apprezzo la fragranza, mi scopro a pensare come sia bello vivere in un paese dove la follia, e l'onestà, sono ancora all'ordine del giorno. E si coniugano perfettamente.



*Dimenticavo. Ovviamente, ho reciprocato. Una bella bottiglia di vino italiano al portiere (che ora non solo mi saluta, ma mi apre la porta e si è offerto di innaffiare le piante in terrazzo, quando non ci sono) e una busta contenente mezzo chilo di spaghetti e una bottiglia di olio di oliva per la signora. Con due righe di aconmpagnamento, opportunamente concordate con i miei amici giapponesi. "Mi scuso per avere recato disturbo". E' uno dei principi fondamentali che regolano la società giapponese. Anche l vittime si debbono scusare. Se non avessi lasciato il casco in quel posto, quel giorno, il ragazzo non l'avrebbe preso, la madre non avrebbe dovuto scusarsi e io non mi sarei potuto pappare il melone muschiato.
W il Che...e lunga vita all'Imperatore!