E' bastato il fantasma di Toni Negri, materializzatosi con un paio di efficaci telefonate, per dare la sveglia all'Impero e alle sue avanpostguardie. La prima telefonata è arrivata alla Todai, sabato 30 marzo, alle 13:30. L'unico momento interessante, per forma e contenuti (un particolare "omedetoo" va al fantastico traduttore, professor Miura) di un pesantissimo, autoreferenziale convegno dell'Impero (Todai) che celebrava il 130 anniversario della sua fondazione ma anche (e qualcuno ha fatto in modo che la cosa venisse ricordata) il 40mo anniversario della lunga occupazione del '68, una delle più violente e mediaticamente efficaci della storia della contestazione giovanile.
Alla fine, la messa funebre in chiave Todai è stata giustamente e rumorosamente contestata da un gruppo di "autoconvocati" indigeni (nella foto), ai quali i baroni rossi avevano vietato non solo di esporre alcuni cartelli, ma anche di intervenire in quello che doveva essere, e come tale era stato annunciato, un dibattito. Per il resto, aria fritta. Ma proprio fritta e rifritta, da restarci secchi, oltre che furiosi. Un gruppo di sopravvissuti "ordinari" (nel senso "accademico" del termine: professori di ruolo che incassano un lauto stipendio per continuare a masturbarsi il cervello in pubblico) che si ciarlavano addosso, costringendo i loro ignari e precettati (e inesorabilmente ignoranti) studenti a seguire quella che a molti è apparsa una funzione religiosa, quella che i giapponesi chiamano "gishiki" 儀式、pura e innocua liturgia della parola, più che momento di crescita ed aggregazione di un movimento in fieri, come era ed è nei sogni di qualcuno (e nell'incubo di altri, che infatti hanno impedito la presenza fisica di Negri, che è un'arma come il suo pensiero). Il quale, ma non lo sapremo mai, secondo me avrebbe abbandinato il palco e si sarebbe andato a sedere tra i contestatori, "pochi ma buoni", come si usa(va) dire. Ma magari mi sbaglio.
Tutt'altra aria il giorno dopo alla Geidai, altro simbolo (più "laico") del 68' giapponese (che come molti ricorderanno, è iniziato almeno un paio di anni prima). La sala "gessi" (imperiali), molto suggestiva, era gremita sì di vecchi irriducibili (emblematica la presenza del mitico danzatore butoh Min Tanaka e del regista "brigatista" Adachi Masao, reduce dal Libano, dalla prigione e dal suo ultimo, controverso, film "The prisoner", presentato a Rotterdam), ma anche e soprattutto di nuove, spesso ignote, ma potenzialmente conflittuali, soggettività.
Tutta gente viva, attiva, felice e disperata, spicchio in movimento di quella "moltitudine" che Toni Negri ha brillantemente individuato (e il suo traduttore altrettanto brillantemente reso ricorrendo al composto poco usato in Giappone di "tashu" 多衆, in opposizione a "taishu" 大衆, dando un ceffone semantico ai pigri pasdaran del katakana) e suo malgrado codificato, e al quale milioni di persone fanno, di fatto, oramai riferimento, magari inconsapevolmente.
C'erano, alla Geidai (e alla fine, dopo la pessima idea di far ascoltare a Negri "Che sarà" si sono tutti messi a cantare "Bella Ciao", trascinati da un'esilarante e bravissima banda di "chindoya") tutti gli sfigati e gli incazzati dell'Impero - l'unico nel quale la forma sociale coincide con la forma stato - che approfittando della (non) "presenza" di Toni Negri (se fosse stato fisicamente presente forse avrebbero avuto più soggezione e certamente meno spazio) si sono presentati, annusati, forse piaciuti e (chissà) persino organizzati. L'appuntamento, si sa ma non si dice, è il G8, le sue vigilie, le sue periferie. Il suo essere provocazione che chiama provocazione. Una occasione troppo ghiotta per non battere un colpo, per non allargare le fessure. Che poi a pensarci bene l'Impero non ha cancelli inchiavardati, nè muri da scalare. Solo "tori", porte aperte, per forma e definizione, ma attraverso le quali è sempre stato difficile passare inosservati. Per il sottoscritto, una grande occasione, speriamo non l'ultima, di verificare che sotto il vestito (l'Impero) non c'è il niente, come a volte ho temuto. Una buona notizia, chissà che non sbocci davvero, la "primavera" dell'Impero....