mercoledì 26 marzo 2008

Il ritorno del Kuomintang



Musi lunghi tra gli amici taiwanesi che tifavano per il DPP, il partito democratico progressista di Chen Shuibian. Altro che effetto Tibet. Chen ed il suo partito hanno beccato una batosta elettorale senza attenuanti: il loro candidato,l'ex premier Frank Hsieh, ha preso oltre 2 milioni di voti di meno di Ma Yingjeu, l'ex sindaco di Taipei che da qualche anno ha "modernizzato" il vecchio partito nazionalista, rendendolo meno inpresentabile in patria e all'estero. C'è chi pensa che questa vittoria del Kuomintang rappresnerta un rischio per la giovane democrazia taiwanese ed un respiro di sollievo per Pechino, che mal avrebbe sopportato, soprattutto alla vigilia delle Olimpiadi e dopo quanto sta succedendo in Tibet, altre "provocazioni" aldilà dello stretto. Ma è una lettura molto superficiale, a mio avviso. Il vecchio Kuomintang - pace all'anima sua - è morto. Paragonare Ma al generale Chang Kaishek equivale a paragonare Gorbaciov a Stalin, o Fini a Mussolini. Le cose sono cambiate anche a Taiwan, e dopo 8 anni di potere da parte del DPP - negli utlimi tempi decisamente malgestito - non c'è nulla di male che la gente, attraverso un impeccabile esercizio elettorale, abbia deciso di puntare su un leader giovane, capace e carismatico. Quanto a Pechino, non è detto che Ma sia un affare: con un tipo come Chen Shuibian i dirigenti cinesi avevano gioco facile, le sue "provocazioni", spesso rimaste tali, venivano respinte tra insulti e improperi. E siccome erano minacce inaccettabili, suscettibili di provocare la terza guerra mondiale, Chen alla fine si era ritrovato sempre più solo. Negli ultimi tempi perfino gli Usa, tradizionali alleati di Taiwan, gli avevano rifiutato non solo il visto, ma perfino il diritto di transito negli Stati Uniti, durante un suo recente viaggio in America Centrale.
Il presidente eletto Ma, dal canto suo, ha iniziato alla grande. Dopo aver chiesto scusa al popolo taiwanese per gli eccessi del Kuomintang durante la dittatura, ha promesso di puntare sull'integrazione economica, culturale e sociale, anzichè quella politica. Del resto, perchè perdere tempo e provocare tensioni per proclamare ufficialmente quella che è già una realtà da oltre 50 anni? Un conto è il riconoscimento formale, un altro è quello di fatto. E di fatto, non c'è nessuno che neghi che Taiwan sia - di fatto - uno stato libero, sovrano ed indipendente, e non, come pretendono i cinesi, "una provincia ribelle".
Niente proclami dunque, ma più scambi culturali e commerciali e soprattutto voli diretti. Oggi per andare in Cina, dove hanno investito milioni e milioni di dollari, i taiwanesi debbono passare da Hong Kong o da Tokyo....Quanto alla Cina, Ma ha detto che non sa se e quando andrà a Pechino. Ma ha già annunciato una visita negli Usa, prima ancora di essere insediato ufficialmente alla presidenza, il 20 maggio. Così da un lato ricuce con gli USA, dall'altro vede come la prende Pechino. Chiamatelo fesso.

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