ACTHUNG SUICIDI/2
Il suicidio in Giappone è una tradizione antica e dai molteplici, affatto scontati risvolti ed implicazioni: per chi volesse approfondire l’argomento uscendo (e superando) il concetto nazionalpopolare e un po’ romantico di seppuku o harakiri che dir si voglia, suggerisco l’insuperato saggio di Maurice Pinguet, La mort volontaire au Japon, di cui non so se esista una versione inglese. Io ce l’ho in francese. Un libro che fa molto riflettere, anche per la sua capacità di affrontare l’argomento da una prospettiva rigorosamente laica, cosa molto difficile per un occidentale.
Ciò che colpisce oggi in Giappone, è lo storico avvicendamento generazionale, il “ricambio” di classe. Oggi a suicidarsi non sono più i nobili sconfitti, i politici che sbagliano, gli artisti e gli intellettuali. E nemmeno i vecchi, il cui suicidio, in passato, in realtà era tutt’altro che volontario (come si evince dal meraviglioso Narayama Bushiko, il film di Shoei Imamura vincitore della Palma d’Oro 1983 a Cannes, tratto dall’ancor più affascinante omonimo romanzo dello “scrittore maledetto”, e ahimè dimenticato, Shichiro Fukazawa*) bensì imposto dalla comunità, che non poteva più occuparsi di loro. Oggi che le condizioni di vita – soprattutto nelle campagne – sono migliorate, i vecchi non sono più costretti a farsi da parte e usano la loro saggezza per tenersi stretti la vita.
A suicidarsi oggi – oltre ai minorenni – sono i poveracci. I 40/50enni espulsi dal mercato del lavoro fisso che non potranno mai rientrarvi alle stesse condizioni. E allora come far fronte al mutuo, alle oltraggiose rette scolastiche, alle varie attività del tempo libero cui la famiglia si è abituata? Non resta che farla finita, grazie ad un perverso sistema – che per fortuna pare in via di revisione – in base al quale le assicurazioni pagano anche in caso di suicidio. Unico paese al mondo, che io sappia. Non essendovi alcun ostacolo di tipo religioso, il suicidio in Giappone ha un altissimo valore etico e sociale. Purtroppo, è una soluzione. Che consente alla faamiglia di sopravvivere decentemente. C'è un bel libro di Masahiko Shimada, a suo tempo tradotto in italiano per Einaudi ma che non è mai uscito, che si intitola Jiyuu Shikei, "Libertà di esecuzione". "La nostra società- mi spiegava in una vecchia intervista Shimada - prevede due forme di pena capitale: l'impiccagione, per i delinquenti e il suicidio per gli sfigati". Ho il testo della traduzione italiana, per chi lo volesse leggere.
*Shichiro Fukasawa, che ho avuto il privilegio di conoscere ed intervistare nel lontano 1985, poco prima che morisse in assoluta povertà e dimenticato da tutti, era un personaggio fuori dal comune. Scrittore, poeta, iconoclasta, burlone e menestrello. Autore della prima (e ultima) sferzante satira anti-imperiale pubblicata nel Giappone del dopoguerra. Uscì nel 1960, quando c’era ancora qualche editore coraggioso in giro. Si intitolava Furyu Mutan, “Sogno elegante”, e raccontava, con dovizia di particolari decisamente irriverenti, la decapitazione delle Loro Maestà Imperiali a seguito di un’improbabile insurrezione popolare. I difensori del sacro impero del crisantemo ovviamente reagirono da par loro: la casa dell’editore della rivista (Chuokoron, oggi divenuta una casa editrice ultraconservatrice) venne circondata peer due giorni e infine incendiata, la moglie restò uccisa nell’incendio assieme alla domestica ed il marito, tale Shimanaka, costretto alle dimissioni dopo le pubbliche scuse. Il folletto Fukazawa – era alto poco più di un metro e mezzo – decise di sparire e cominciò a girovagare per il Giappone mantenendosi come cantastorie, in giro per le osterie e i bordelli. Fino a quando si fermò in una fattoria di Saitama, alla periferia di Tokyo, assieme ad una ex prostituta che si era invaghita disperatamente di lui. “La fattoria dei sogni” l’avevano chiamata, ed è lì che lo intervistai, tra galline starnazzanti, fiumi di sakè e un duello all’ultimo stornello con la chitarra: lui cantava gli enka della più sporcacciona tradizione locale (chi ha detto che non c’è…) io le varie osterie… uno degli incontri più belli della mia vita in Giappone, peccato non aver avuto, all’epoca, una telecamera! Chi ne volesse sapere di più può digitare Shichiro Fukasawa: scoprirà che non tutto è mai stato sempre uguale qui, e che l’amnesia sociale non è congenita, ma provocata.
domenica 6 maggio 2007
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3 commenti:
traduzione kudasai
Ciao, ho scoperto da poco il tuo blog, trovo l'argomento del libro di cui parli molto interessante, è ancora possibile avere la traduzione?
Se fosse possibile anche tramite email, il mio indirizzo è sirtommyz@gmail.com.
Grazie
Ciao, mi interesserebbe, se ti è rimasta qualche copia...
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