Piccoli segnali, d'accordo. Ma importanti. Nel caso abbiate la sfortuna di incappare nel sistema giudiziario giapponese (parlo di penale) sappiate che le cose stanno timidamente cambiando e che, non importa se colpevoli o innocenti (non è questo il punto, anche se qui questo concetto, riconosciuto dalla legge, non è stato ancora metabolizzato dalla maggior parte degli "operatori", che continuano a trattare gli "Indiziati" come criminali e i criminali come animali, anzi peggio) si sta aprendo qualche spiraglio di luce nel famigerato inferno del "daihyo kangoku", il fermo di polizia. Che come immagino sappiate è il più lungo al mondo: 23 giorni, rinnovabili, per ciascun singolo addebito. Forse è per questo che la polizia giapponese è nota per il suo alto tasso di estrazione di confessioni.
Ma lo strapotere della polizia ed il principio di "discrezionalità dell'azione penale", che spesso e volentieri sfocia in puro e semplice arbitrio da parte della procura (i procuratori nel 99% dei casi seguono le "indicazioni" della polizia, ed il 99% dei tribunali seguono le richieste, sia giudiziali che extragiudiziali, della procura) comincia a vacillare. I giudici, insomma, (la notizia è questa) cominciano a fare il loro mestiere, che non dovrebbe essere quello che in genere fanno: omologare sentenze già scritte in fase di interrogatorio preliminare! Sabato scorso, 1 dicembre, un giovane magistrato ha per ben due volte respinto la richiesta di convalida d'arresto presentata dal pubblico ministero (a sua volta su richiesta della polizia), per "esigenze istruttorie". Tradotto: il "fermato" si ostinava a "non collaborare" (cioè a non confessare) e la polizia, sostenuta dal pubblico ministero, chiedeva un po' di tempo in più. Vale la pena ricordare che, in fase istruttoria, gli interrogatori avvengono senza alcuna formalità nè limiti di durata, non vengono verbalizzati e tanto meno video/audio registrati, e, ultima ciliegina, SENZA LA PRESENZA DI UN AVVOCATO DIFENSORE. Il giudice (una donna, onore al sesso "forte") ha detto di no. Alleluja.
In questi giorni ho seguito da vicino il caso di un collega svedese, "fermato" e poi "arrestato" per aver - sostiene la polizia - insultato e aggredito un tassista. Il collega, che grazie al nostro intervento ha avuto la possibilità di incontrare un avvocato di fiducia nel giro di 24 ore (in base alla legge giapponese, se non hai o non puoi pemetterti un avvocato di fiducia, l'avvocato d'ufficio viene fornito solo DOPO l'incriminazione/rinvio a giudizio, il che può avvenire dopo mesi e mesi di detenzione), nega la seconda parte delle accuse. Sostiene di aver "solo" insultato il tassista - colpevole di averlo trattato male e di non volerlo trasportare con la scusa che non parlava giapponese - ma non di averlo picchiato.
Ma il punto, dicevo non è questo. Il punto è il trattamento ricevuto dal mio collega. E da come è finita - per ora - la faccenda.
Si tratta di un caso semplice, di una situazione in cui potremmo ritrovarci tutti, all'improvviso. Ho quindi pensato di raccontarvi il caso nei minimi dettagli. Ritengo che leggerne i particolari possa rappresentare, oltre che pura informazione, anche un utile "manuale", just in case.....
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1 commento:
Forse non e` un caso che quel giudice abbia detto "NO" proprio
il primo dicembre, anniversario di un altro "NO" storico (1955,Alabama)...speriamo che anche questo "rifiuto" divenga un esempio...
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